L’India si sà, è un mosaico di culture un po’ come lo è l’Italia: ogni tassello con la sua storia e le sue tradizioni – linguistiche, artistiche e culinarie – che seppur in parte lo accomunano con gli stati e le regioni confinanti, dall’altro lato lo rendono unico nel suo genere, irripetibile e speciale.
Ecco che allora parlando di India, in Orissa vengono a galla tanti di questi aspetti – come le danze e l’architettura templare per esempio – che qui raggiungono livelli d’eccellenza e particolarità degni di nota, forse ancor più intriganti proprio perché non tra i più conosciuti. Pur trattandosi infatti di mete molto frequentate dal turismo domestico per questioni prettamente religiose, il cosiddetto “Triangolo d’Oro” (o “Triangolo Sacro”) dell’Orissa – Swarna Tribhuja – sembra non avere ancora attirato più di tanto l’attenzione del turismo internazionale che qui ci arriva – forse – solo dopo una terza o quarta visita nel paese.
Bhubaneswar, Puri e Konark, ognuna di queste località con qualcosa di curioso da offrire in termini di produzione artistica o di devozione religiosa: è proprio qui che venne infatti raggiunta l’eccellenza nello stile nagara (“del Nord”) e sempre qui, presso il tempio di Jagannath di Puri, che si svolge uno dei festival più incredibili di tutta l’India, lo Rath Yatra, il “Festival dei carri” giganti che vengono trainati a mano da una folla di fedeli incalliti.
Raccontano le cronache che dal secolo VII al secolo XIII l’Orissa fu uno dei maggiori centri artistici dell’India in cui la tradizione scultorea raggiunse i suoi più alti livelli dando vita a dei templi preziosi come gioielli per l’armonia delle forme. Qui si parla localmente di deul per indicare l’intero complesso templare oppure, di questo, le singole parti: rekha deul, in riferimento alla cella sacra (garbhagriha) e alla torre curvilinea che lo sovrasta (shikara), la quale slancia questa parte dell’edificio verso l’alto (rekha = linea retta); nei templi dedicati a divinità femminili, il rekha deul viene sostituito dal cosiddetto khakhara deul, una struttura più simile alle porte di ingresso alle città tempio del sud, così chiamato per la forma “a botte” con cui culmina; infine vi è il pidha deul, il padiglione della preghiera più diffusamente conosciuto come mandapa nel sud e jagamohana nel nord.
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1.Bhubaneshwar e dintorni (Khandagiri, Udayagiri, Haripur e Dhauli)
A Bhubaneswar di esempi appartenenti alle due categorie se ne incontrano di vari, uno più bello dell’altro, tant’è che vale la pena passarli tutti in rassegna o, se non alto, almeno i principali. Si racconta che tra il VII e il XIII secolo attorno al laghetto artificiale conosciuto con il nome di Bindu Sagar – oggi situato nei sobborghi meridionali della città – siano stati eretti circa sette mila templi, la maggior parte dei quali purtroppo distrutti nel corso delle incursioni islamiche del XVI secolo. Nonostante questo è però ancora possibile, tra quelli sopravvissuti, tracciare l’evoluzione dell’architettura locale, dalle forme più semplici a quelle più articolate, il tutto con un comodo tour in auto-rickshaw (i prezzi nel 2016 si aggiravano intorno alle 250 rupie per la visita dei templi principali compreso il tempo di attesa).
Tra tutti, il più antico e meglio conservato esempio di architettura kalinga – in riferimento alla regione storica dell’India comprendente buona parte dell’Orissa e dell’Andhra Pradesh – risalente al 650 d.C. è il Parashurameshwara Mandir, molto probabilmente commissionato sotto il regno di Madhavaraja II della dinastia Shailodbhava. Il tempio, dedicato al culto di Shiva presenta alcuni elementi particolari tra cui un lingam di pietra monolitico esterno alla struttura principale e raffigurazioni delle Saptamatrika, le “sette madri”, particolarmente significative per le sette tantriche dell’induismo collegate al culto della Shakti, ovvero della divinità femminile.
A destra l’immagine di Chamunda
Dedicato interamente a Chamunda, l’aspetto più terrifico della dea Durga, è poi il Vaital Deul Mandir, risalente all’VIII secolo e costruito nello stile Khakhara, ovvero con una sovrastruttura alla cella sacra più simile ai portali del sud che non alle torri del nord. Le figure scolpite sulle facciate del tempio rappresentano varie divinità hindu, tra cui la coppia (mithuna) Shiva e Parvati, e alcune tra le prime immagini erotiche risalenti a quell’epoca.
Kharkhara Deul, la”volta a botte”
Rappresentazione di mithuna, la “coppia divina”
Costruito duecento anni dopo il Parashurameshwara e quindi caratteristico dell’evoluzione nell’arte templare dell’Orissa è il Mukteshwara Mandir, considerato una gemma architettonica sia per la compattezza delle sue forme che per i dettagli delle squisite sculture che ne adornano le facciate. Risalente al X secolo e di nuovo dedicato a Shiva, fu probabilmente la prima opera commissionata sotto il dominio del re Yayati I della dinastia Somavamshi, un complesso di rara bellezza, caratterizzato inoltre dalla presenza di un insolito portale d’ingresso molto simile ad un torana buddhista.
L’impianto del Mukteshwara consiste di una cella sacra sovrastata da uno shikhara (“cima di montagna”) di forma più slanciata che nel tempio di Parashurameshwara e di un jagamohan con copertura a pidha (a “piattaforme” stratificate). Il nome del tempio pare significhi “il Signore della Liberazione”, da collegare con il suo essere stato probabilmente un centro di iniziazione tantrica. Oggi il complesso ospita una volta all’anno il Mukteshwar Dance Festival, uno spettacolo di danza e musica classiche odissi.
Più grande del Mukteshvara ma che ne riproduce lo stesso schema è il Rajarani Mandir. La differenza in questo caso la fa lo shikhara, al cui nucleo centrale vengono aggiunte delle repliche dello stesso. Conosciuto localmente come il “tempio dell’amore” per via delle sculture erotiche che ne adornano le sue facciate, il complesso risale all’XI secolo ed è oggi patrimonio dell’Archeological Survey of India, indi per cui a pagamento (100 rupie). Si dice che proprio da questo tempio presero ispirazione i certamente più famosi templi di Khajuraho.
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All’interno della cella sacra non è presente alcuna immagine, cosa che ancor oggi fa discutere sul se si tratti quindi di un tempio dedicato al culto di Shiva o di Vishnu, nonostante gli studiosi siano più propensi ad affiliarlo alla fede shivaita per via di varie associazioni con le altre figure che ne arricchiscono il programma scultoreo.
Ultimo tra i principali in ordine di costruzione ma decisamente il più importante sia in termini di ampiezza che di devozione, il Lingaraja Mandir, dedicato a Shiva, fu probabilmente commissionato anch’esso sotto la dinastia dei Somavamshi ma venne in seguito ampliato sotto quella dei Ganga Orientali, gli stessi che nel XII secolo fecero costruire anche il Jagannath Temple di Puri. Un’opera imponente, con il suo shikhara alto circa 50 metri che svetta all’interno di un recinto purtroppo non accessibile ai non-hindu, i quali però lo potranno ammirare da una piattaforma panoramica che si trova appena lì accanto.
Hari Hara, “metà Shiva e metà Vishnu”, così è conosciuto il potente lingam che si trova all’interno della sua cella sacra, uno dei dodici joytirlinga venerati in tutta l’India e che lo rendono appunto uno dei luoghi di devozione più importanti di tutto il paese.
Ma la storia di Bhubaneshwar, il cui nome deriva da quello della figura di Shiva come il “Signore dei Tre Mondi” (Tribhubaneshwar) e del suo immediato circondario, ebbe inizio ben prima del VII secolo, una tesi testimoniata dalla presenza, a nord della città, degli insediamenti monastici jaina scavati nella roccia delle colline di Khandagiri e Udayagiri, risalenti al I secolo d.C. Una lunga iscrizione incisa in una delle grotte, la Hathi Gumpha, menzionerebbe quale committente del monastero il re Kharavela della dinastia Chedi, sovrano della regione di Kalinga tornata indipendente dopo la morte di Ashoka.
La struttura delle grotte, che si trovano scavate sul fianco di due colline gemelle è molto simile a quella delle grotte dell’India centrale, quali Karla, Bhaja, Elephanta, Ellora ed Ajanta, un tempo importanti luoghi di culto e devozione – dei veri e propri complessi monastici rupestri – oggi frequentate invece da orde di turisti locali che ahimè rovinano un po’ l’atmosfera ma ciò non vuol dire che non siano degne di nota; al contrario, la decorazione di alcune delle grotte è di grande valore stilistico, per cui è assolutamente raccomandata una visita. Non essendoci un servizio autobus diretto per le grotte, da Bhubaneshwar vi converrà optare per un tuk tuk.
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Sempre nei dintorni di Bhubaneshwar, a 15 km di distanza e raggiungibile di nuovo con una corsa di tuk tuk, si trova uno dei pochi esempi presenti in tutta l’India (in totale sono quattro, due in Orissa e due in Madhya Pradesh) di tempio dedicato alle Yogini, ovvero a delle figure femminili semi-divine collegate al culto tantrico e considerate manifestazioni della shakti. Il Chausath Yogini Mandir di Hirapur, dedicato a ben 64 figure femminili – un numero ricorrente nella tradizione induista – che in questo caso particolare vengono rappresentate in posizione eretta e con accanto ognuna il proprio animale-veicolo. Il tempio, di forma circolare e senza copertura, si dice risalire al IX secolo.
Sulla strada per Hirapur potrete inoltre fermarvi a visitare anche il Vishwa Shanti Stupa di Dhauli, un’opera moderna che fa però riferimento ad una storia antichissima riguardante l’Orissa da vicino, o meglio, l’allora stato dei Kalinga, sconfitti proprio in questo luogo nel 260 a.C. dall’imperatore Ashoka della dinastia Maurya. Una strage di 150.000 persone – ricordano le cronache – che non solo portò all’assoggettamento di una popolazione, bensì al chiaro pentimento del grande sovrano il quale, a partire da questo momento – rinunciò completamente alla violenza per intraprendere invece il cammino spirituale promosso dalla fede buddhista.
Fu così che decise di far pubblicare una serie di editti in epigrafi su roccia o su colonne che vennero erette in diversi angoli del paese volte a diffondere regole di vita che facessero capo ai principi di accettazione e di non violenza. Lo stupa, commissionato da dei monaci giapponesi nel 1972 e costruito vicino ad uno di questi editti inciso su una roccia scolpita in forma di elefante, vuole essere un simbolo di pace per le generazioni future e un monito – recita un cartello – “contro l’utilizzo di armi nucleari che minacciano di distruggere il mondo”.
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2. Puri
In un articolo di qualche tempo fa vi parlavo della geografia sacra dell’India, ovvero di quei luoghi e itinerari di pellegrinaggio che, in riferimento ad una branca dell’induismo piuttosto che ad un’altra, dovrebbero essere visitati almeno una volta nella vita da ogni devoto che volesse facilitare il proprio percorso verso il moksha, ovvero la liberazione dal ciclo delle rinascite. Per i seguaci di Vishnu ecco che allora il più importante di questi percorsi, il Char Dham Yatra(“dell quattro dimore”), è quello che va a coprire i quattro luoghi sacri del paese dedicati alla divinità (o ai suoi avatar) posizionati ai quattro punti cardinali: Badrinath a nord, Dwarka a Ovest, Rameshwaram a sud e Puri, in Orissa, ad Est. La tradizione vuole che le divinità a cui sono dedicati, vissero ed operarono rispettivamente nelle quattro ere in cui si suole dividere l’evoluzione della Terra, detti Yuga: il Krita Yuga, l’età dell’oro, il Treta Yuga, l’età dell’argento, il Dvapara Yuga, l’età del bronzo e il Kali Yuga, l’età del ferro.
Jagannātha, il “Signore dell’Universo” altro non è che una manifestazione di Krishna/Vishnu che in questo contesto, insieme al fratello Balarāma e alla sorella Subhadrā, assume una forma alquanto originale: trattasi infatti di una grande testa, di un volto sorridente con dei grandi occhi, e di un corpo privo di mani e di gambe, di colore nero/blu. Anche qui purtroppo ai non hindu non è permesso accedere al tempio ma le viette nei suoi immediati dintorni sono costellate da immaginette sacre che riproducono quelle presenti all’interno. Viste queste direi che ormai l’avrete capito: in India ci si può aspettare veramente di tutto!
Il tempio venne costruito all’inizio del XII secolo sotto la dinastia dei Ganga Orientali, sul modello del Lingaraja di Bhubaneshwar. Di fronte ad esso si estende l’arteria più ampia della città, la Grand Road, progettata ed utilizzata per la grande processione che si tiene ogni anno nel mese di luglio/agosto, lo Rath Yatra, il “festival dei carri”. In tale occasione le immagini sacre presenti all’interno del tempio vengono caricate su dei carri giganti (quello di Jagannath è alto 13 metri ed ha ben 18 ruote) i quali vengono tirati tramite funi da 4200 onorati devoti verso la loro residenza estiva, il Gundicha Ghar, situata a 1,5 km di distanza. La processione ovviamente vede il partecipare di centinaia di migliaia di persone ed è considerata una delle feste più spettacolari di tutta l’India.
A parte la zona del tempio comunque Puri è una città abbastanza tranquilla che si sviluppa su uno dei lungomare più ampi di tutto il paese, tant’è che già gli inglesi a loro tempo ne intravidero il potenziale per essere un ottimo resort balneare. Dal sacro al profano dunque e finita la parte devozionale ecco che le orde di indiani si spostano tutte lungo Marine Drive e sulla spiaggia che si estende lì di fronte. Una cosa è sicura: il nostro concetto di località balneare è decisamente lontano cent’anni luce dal loro, per cui non aspettatevi nient’altro che il solito macello indiano!
Le sistemazioni per i viaggiatori zaino in spalla si trovano concentrate nell’enclave di Pentakunta, ovvero lungo la Chakra Tirtha (CT) Road, più spostata verso il villaggio dei pescatori. Nel 2016 io ho alloggiato nella One Love Guest House, carina ed economica, ma può essere che nel frattempo sia venuto fuori anche qualcosa di nuovo. Per raggiungere Puri da Bhubaneshwar non dovrete fare altro che prendere qualunque autobus in partenza ogni 15 minuti dall’Ashok Hotel (Kalpana Square) o dall’autostazione principale della città, chiamata Baramunda. Il viaggio ha una durata di circa un’ora e un quarto.
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3.Konark
Ed eccoci dunque giunti all’apice dell’edilizia religiosa hindu dell’Orissa e non solo: Konark, il tempio dedicato al dio Sole è infatti uno dei santuari meglio scolpiti di tutta l’India, Patrimonio Mondiale dell’Unesco, con un programma architettonico tra i più complessi ed affascinanti, che lo vede costruito sotto forma di un gigantesco carro trainato da sette cavalli, ovvero il veicolo sul quale il dio compie ciclicamente il suo percorso.
L’imponente complesso venne molto probabilmente ultimato nel 1258 sotto il governo di Narasimhadeva della dinastia Ganga, il quale lo volle costruito al ritorno di una vittoriosa campagna militare. La sua realizzazione apparentemente richiese circa vent’anni, sei dei quali impiegati solo per la stesura del progetto. Il tempio, costruito nello stile nagara e in blocchi di pietra, sorge al centro di un vasto recinto , su un alto basamento, lungo il quale sono raffigurate 12 paia di ruote, simboleggianti i dodici mesi e segni zodiacali. La scultura è raffinata e presenta tanti elementi di stampo erotico, tra cui coppie in amplesso ed esibizionisti solitari.
Konark può essere tranquillamente visitato in giornata da Puri tramite autobus. Il viaggio ha una durata di circa un’ora.