E’ da circa una settimana che, neanche a farlo apposta, guardandomi in giro su internet, trovo notizie, articoli e commenti che riguardano il Bhutan. Sarà forse una coincidenza, sarà che i tour operator hanno deciso tutti nello stesso momento di puntare alla sua promozione, risvegliando di conseguenza l’interesse della gente, sarà che non lo so; fatto sta che questo ha fatto venire voglia anche a me di parlarne.
Detto sinceramente, quanti di voi hanno mai considerato il Bhutan come una possibile meta di viaggio? In quanti si sono presi la briga di informarsi sul cosa ci sia o non ci sia in quel paese da visitare? In pochi, pochissimi. Il tutto è molto comprensibile direi, essendo che fino a pochi anni fa non se ne sentiva nemmeno parlare, anzi, forse qualcuno di voi lo sente addirittura nominare per la prima volta.
Bhe, lasciate che vi dica una cosa: non c’è niente di strano in tutto questo. Volutamente infatti il Bhutan, in passato, non ha fatto parlare di sé, preferendo rimanere in una posizione di isolamento che lo preservasse dalle influenze esterne, riuscendo così a mantenere intatte le proprie tradizioni secolari. Pensate che addirittura il Bhutan è stato l’ultimo paese al mondo ad introdurre l’utilizzo della televisione e questo solo nel 1999.
Apertosi al mondo del turismo nel 1974 e avvicinatosi quindi piano piano al mondo internazionale, il Bhutan continua però a rimanere un paese unico, con caratteristiche peculiari che lo contraddistinguono sia dai paesi confinanti, sia, in generale, dal resto dei paesi asiatici. Un luogo leggendario e misterioso che solo ora incomincia ad attrarre la curiosità di tanti viaggiatori, i quali tuttavia sono frenati dagli alti costi imposti dal governo per poterci accedere.
Detto questo proverò comunque a raccontarvi della sua unicità e del perché un viaggio in Bhutan varrebbe l’investimento.
[divider]
L’ultimo regno himalayano
C’era una volta, non molto tempo fa, un uomo dal nome Ugyen Wangchuck il quale, con un abile mossa politica, riuscì a consolidare il proprio potere in Bhutan e a farsi eleggere sovrano ereditario con il titolo di Druk Gyalpo (Re Drago). Correva l’anno 1907 quando il Bhutan si trasformò quindi in una monarchia ereditaria che ancora oggi sopravvive come una delle più giovani esistenti. 5 sovrani si successero nel tempo apportando ciascuno alcuni cambiamenti in materia politica e fino ad arrivare al tipo di governo attuale che vede Jigme Khesar Namgyel Wangchuck a capo di una monarchia non più assoluta bensì democratica costituzionale. Il più giovane sovrano al mondo, nato nella capitale Thimpu nel 1980, rimane quindi l’ultimo sovrano regnante in tutta l’area himalayana dove altri stati, tra cui Nepal, Tibet, Ladakh e Sikkim, hanno invece dovuto volutamente o forzatamente modificare i loro assetti politici un tempo simili a quelli del Bhutan. Druk Yul, “la Terra del Drago Tonante” – come viene chiamato il Bhutan in lingua locale – rimane dunque l’ultimo regno himalayano ancora esistente a cui la regina, la bellissima Jetsun Pema, ha appena dato un erede al trono.
[divider]
Un paese felice
Il Bhutan è l’unico paese al mondo dove, accanto al Prodotto Interno Lordo, si calcola anche la Felicità Interna Lorda. Questo parametro, introdotto negli anni settanta dal quarto re in carica, nonostante possa suonare come qualcosa di particolarmente astratto, si fonda invece su una serie di criteri ben precisi che valutano i progressi del paese in termini di soddisfazione per l’intera società. Tanto per intenderci il FIL viene calcolato su oltre 30 indicatori e 124 variabili che fanno riferimento a nove aree d’interesse: benessere psicologico, salute, uso del tempo, istruzione, multi-culturalità, buon governo, vitalità sociale, tutela della biodiversità e qualità della vita. Questi dati vengono poi utilizzati dai decision maker per indirizzare le politiche nazionali verso un miglioramento che comporti una ricerca d’equilibrio tra la felicità materiale e quella immateriale. Per i bhutanesi la ricerca della felicità è il sentiero da percorrere per evitare gli errori che sono stati fatti in passato da molti altri paesi i quali hanno considerato lo sviluppo solo in termini di incremento della ricchezza materiale. Sacrificare la propria cultura, il proprio ambiente e in generale la propria identità a favore dello sviluppo economico non ha reso le società felici e per questo, sostiene il governo bhutanese, è necessario ripensare al sistema in termini di sviluppo socio-economico sostenibile promuovendo la cultura locale, il buon governo e la salvaguardia dell’ambiente naturale.
[divider]
Architettura mozzafiato
Pareti alte e spesse che salgono inclinandosi verso l’interno, un espediente che serva per fare sembrare l’edificio più imponente di quello che non sia in realtà: è questa la tecnica utilizzata da sempre nella costruzione degli dzong, i “monasteri-fortezza”, spettacolari cittadelle bianche e rosse, riccamente decorate sia all’esterno che all’interno con pannelli di legno scolpiti e dipinti, che dominano le principali città del paese. Si tratta senza dubbio dell’elemento architettonico più caratteristico del paesaggio.
Inizialmente utilizzati come vere e proprie roccaforti dagli antichi governatori regionali (penlop), gli dzong sopravvissuti agli incendi, costituiscono oggi sia la sede amministrativa dei 20 distretti in cui è diviso il paese sia, nella maggior parte dei casi, importanti centri religiosi. Molti dzong sono quindi dotati di una torre di guardia e risultano spesso divisi in due ali: una monastica, dove si trovano i templi e gli alloggi dei monaci e una amministrativa, destinata agli uffici. In lingua dzongkha, la lingua ufficiale del Bhutan, il monastero è chiamato goemba mentre lhakang è la parola con cui ci si riferisce al tempio vero e proprio.
Esclusi i casi all’interno degli dzong, requisito fondamentale del goemba, sede di comunità monastiche autonome, è quello dell’isolamento, grazie al quale i monaci possano trovare pace e solitudine. In un paese montagnoso come il Bhutan non stupisce dunque che alcuni di questi siano stati costruiti nelle posizioni più impensabili e mozzafiato come, per esempio, in cima a speroni rocciosi. E’ questo il caso del mitico Taktshang Goemba, la famosa “Tana della Tigre” di cui vi ho parlato in questo articolo. In quanto a bellezza, devo ammetterlo, i monasteri bhutanesi si contendono il primato con quelli di Ladakh, Sikkim e Tibet, altrettanto magnifici ma è proprio l’architettura e la decorazione tipica di questo paese a renderli unici nel loro genere.
[divider]
Il Folle Divino
Diciamocela tutta: in quale altro paese vi capita di trovare dipinti sulle facciate delle case dei peni giganti come questo nella foto? In Bhutan la cosa è molto frequente perché tra i santi più venerati figura Lama Drukpa Kunley, meglio noto come il “Folle Divino” o, in inglese, “The Divine Madman”. Un personaggio vissuto tra il 1455 e il 1529, Drukpa Kunley era convinto che le istituzioni, religiose e laiche, le quali imponevano determinati tabù e rigide norme di comportamento all’interno della società, fossero i maggiori ostacoli al risveglio dell’uomo.
Egli predicava dunque la dissacrazione di tali tradizioni attraverso l’erotismo e l’ebrezza, nonché comportamenti fuori luogo ed eccentrici i quali risultavano tuttavia efficaci metodi spirituali. Soprattutto le donne a quanto pare, erano solite fargli visita all’interno del suo monastero, il Chimi Lhakhang, per ricevere la benedizione che spesso si espletava in forma di rapporto sessuale, volendo così dimostrare che la castità non era necessaria per raggiungere l’illuminazione.
I mille falli che incontrerete in giro per il paese dipinti o appesi sulle case fanno dunque riferimento a questo personaggio che viene considerato anche il santo delle fertilità. All’interno del Chimi Lhakhang potrete anche voi ricevere la benedizione in versione meno oscena, ovvero lasciando che il monaco residente vi appoggi sulla testa un fallo di legno 🙂
[divider]
Abiti tradizionali
Uno degli aspetti più caratteristici del paese sono certamente gli abiti tradizionali che devono essere indossati obbligatoriamente nelle scuole, negli uffici governativi e nelle occasioni formali tra cui la visita a uno dzong, ad un tempio o la cerimonia d’apertura ad un torneo di tiro con l’arco. Uomini, donne e bambini indossano volentieri questi abiti che sono realizzati con tessuti bhutanesi e prendono il nome di gho e kira. Nonostante gli stivali tradizionali in feltro o pelle siano stati soppiantati da scarpe all’occidentale, vi capiterà di vederne di meravigliosi durante i festival e le occasioni cerimoniali.
[divider]
Il tiro con l’arco
Il tiro con l’arco, lo sport nazionale del Bhutan, non è in realtà soltanto uno sport: si tratta infatti di una celebrazione vera e propria a cui prendono parte, tra gli altri, danzatori, intrattenitori ed astrologi. Le gare di tiro con l’arco, a cui gli arcieri si preparano ovunque vi sia spazio sufficiente, rappresentano l’affermazione dell’identità nazionale ma anche un momento di intrattenimento popolare molto sentito. Si comincia sempre con una breve cerimonia per poi passare alla competizione che vede il bersaglio posto ad una distanza di 140 metri. Ogni volta che il tiratore colpisce il bersaglio i compagni di squadra si accingono ad eseguire una danza lenta, cantandone le lodi mentre nel caso in cui non lo dovesse colpire, verrà deriso dagli avversari. (Vedi il video cliccando sul link qui sotto). Le donne, pur praticando raramente lo sport, sono comunque molto attive nella parte di intrattenimento e costituiscono forse la percentuale più accanita del pubblico. Gli archi di legno sono stati piano piano sostituiti con quelli in fibra di carbonio ma comunque vengono ancora utilizzati e la loro produzione costituisce un’arte unica e molto ammirata.
Tutto questo, insieme ad una natura sorprendentemente varia e a spettacolari feste religiose rendono il Bhutan un luogo unico e speciale che vale certamente la pena di visitare.