Se volessimo trovare un minimo comune denominatore che ci accompagna nella visita del densamente popolato Stato del Tamil Nadu, nell’India del Sud, di cosa potrebbe trattarsi? Ma certamente degli imponenti gopuram, magnifiche strutture piramidali, torreggianti portali di ingresso ai templi la cui altezza può essere compresa tra i 20 e i 60 metri.
Mentre i primi gopuram si ergevano timidamente all’ombra dei più alti shikhara (elevazioni delle celle), come era il caso del “Tempio della Spiaggia” di Mamallapuram o del “Tempio di Brihadeshvara” di Thanjavur, a partire dall’ XI secolo, la situazione viene completamente rovesciata, essendo ora proprio il gopuram l’elemento di spicco che svetta deciso verso il cielo, un gigante possente che rende quasi insignificante l’edificio della cella.
I complessi templari, a partire da questo momento, vengono racchiusi in una serie sempre più numerosa di mura concentriche e quadrangolari (prakara), la più esterna delle quali presenta solitamente aperture ai quattro punti cardinali su cui svettano i portali più alti. Man mano che ci si muove verso l’interno i gopuram diminuiscono sia di numero che di altezza dando vita ad un impianto architettonico intricato e spesso asimmetrico che contribuisce a confondere e disorientare il visitatore occasionale.
Il tempio diviene dunque una città dove la progressiva espansione dello spazio dedicato alla divinità e l’ingigantimento del suo impianto architettonico, altro non sono che il riflesso di un cambiamento di prospettiva avvenuto a livello religioso: se precedentemente, infatti, la presenza della divinità si pensava circoscritta allo spazio angusto e oscuro della cella, da cui poteva ricevere omaggi e dispensare benedizioni, a partire dall’XI secolo, ad essa vengono assegnati molti altri ruoli, simili a quelli di un monarca terreno.
Il dio celebra ora nascite e matrimoni, concede udienza ai suoi devoti, prende parte alle festività sotto forma di sculture di bronzo “movibili” (chala, in contrapposizione ad achala, “fisse”), che vengono trasportate in processione lungo le strade del tempio, progettate, per l’appunto, abbastanza ampie da permettere il passaggio dei carri processionali (ratha).
A segnare la svolta verso questa complessità architettonica si ritiene sia stato il tempio di Chidambaram, un grande complesso templare di epoca Chola, in larga parte edificato tra l’XI e il XIII secolo e risultato di una stratificazione di interventi architettonici avvenuti molto probabilmente nell’area di un più antico tempio di Shiva (VII-VIII secolo), di cui tuttavia non si sono conservati i resti.
Il primo impulso per la futura espansione del tempio di Chidambaram arrivò dal grande Kulottunga Chola (1070-1122 d.c.), il primo sovrano della linea dinastica cosiddetta dei Chalukya-Chola, alleatisi gli uni agli altri per mezzo di vincoli matrimoniali. Fu infatti sotto il suo regno che venne innalzata la prima cinta muraria, alla quale si accedeva per mezzo di due gopuram.
La seconda cinta, dotata di altrettanti portali, venne aggiunta durante il regno di Vikrama Chola (1118-1135 d.c.), il quale commissionò anche lo scavo dell’imponente vasca per le abluzioni, conosciuta con il nome di “Shiva Ganga Tank”.
Fu poi Naralokaviran, che servì entrambi i sovrani in qualità di Ministro, a commissionare la costruzione di numerose sale accessorie, tra le quali la “Sala delle Mille Colonne”, situata accanto alla vasca per le abluzioni, all’interno del perimetro della terza cinta muraria. Maestosi sono in questo caso i portali d’ingresso posti ai quattro punti cardinali e costruiti in un’epoca compresa tra il 1150 e il 1300, probabilmente sotto il governo di Kulottunga III ma certamente ingigantiti sotto il regno dei Vijayanagara, i quali commissionarono anche l’innalzamento della quarta cinta muraria.
Costruita su basamenti verticali di pietra, l’elevazione dei gopuram – consistente in una serie di piani digradanti, modellati nello stucco che riveste una struttura piramidale di mattoni – è coronata da un tetto a botte sul quale si allineano simbolici vasi (Kalasha). Nel passaggio dei gopuram Est e Ovest sono scolpite le celebri 108 posture della danza indiana, i cosiddetti karana, la cui origine si fa risalire al Natya Shastra, il più antico testo di teoria teatrale giunto fino ai giorni nostri.
Non per altro infatti il tempio di Chidambaram è famoso in tutta l’India come il tempio di Shiva Nataraja, il “re della danza” che qui danzò per la prima volta e che qui, secondo la tradizione, continua tuttora a farlo. Shiva, il “Danzatore Cosmico” che con il suo movimento frenetico, incessante, risveglia le energie latenti che possono dare forma al mondo, il quale altro non è che un effetto della sua danza eterna.
Ed è sicuramente quella di Shiva Nataraja, la creazione più celebre della statuaria Chola, immagine che riproduce in bronzo il cosiddetto anandatandava, la “danza della beatitudine”, la quale vede il Dio segnare il ritmo del tempo, guidando l’esistente nel suo ciclico processo di creazione, vita e distruzione.
Shiva, il signore del lingam (icona fallica) che qui a Chidambaram viene venerato come lingam d’etere, akashalingam, il primo dei cinque elementi, prima manifestazione della sostanza divina da cui si dispiegano, nell’evoluzione dell’universo, tutti gli altri elementi: aria, fuoco, acqua e terra. Ed è dunque dall’insieme di etere e suono, provocato dal tamburello (damaru) che Shiva reca nella mano destra, che ha origine il primo momento della creazione.
La mano opposta, in alto a sinistra, reca invece sul palmo una lingua di fiamma, simbolo della distruzione. Ma Shiva, in quanto Dio, è ovviamente dotato di più arti, in questo caso di un totale di quattro. Ci racconta Heinrich Zimmer, grande studioso, che “la seconda mano destra fa il gesto del “non temere” che dispensa pace e protezione, mentre la rimanente mano sinistra, sospesa all’altezza del petto, indica in basso il piede sinistro, sollevato. Questo piede simboleggia la Liberazione ed è il rifugio e la salvezza del devoto”.
Nel cuore del tempio di Chidambaram, all’intreno della Cit Sabha (“sala della conoscenza”), è custodito quindi un lingam invisibile, fatto di etere, il cosiddetto “segreto di Chidambaram”, accanto al quale, nella Kanaka Sabha (“sala d’oro”), si trova invece un lingam di cristallo, venerato ogni giorno, alle 12 e alle 18, con cerimonie del fuoco che si svolgono al ritmo del suono di cimbali e tamburi. Nonostante la regola dica che gli stranieri non siano ammessi all’interno del sancta sanctorum, capita spesso che i sacerdoti addetti alle funzioni religiose, ne permettano invece l’accesso.
All’interno del tempio di Chidambaram convivono e lavorano sacerdoti di origine diversa: i Dikshitar, che si distinguono per la particolare acconciatura, consistente in un ciuffo di capelli sulla testa rasata, gli Ouduvar, i cantori di inni sacri e i brahmini comuni.
Chidambaram si trova 58 kilometri a sud di Pondicerry e la si può raggiungere facilmente utilizzando il servizio di pullman pubblici che connette quasi ogni angolo dello stato. La stazione degli autobus si trova a 500 metri dal tempio.