Karnataka

Don’t worry, be Hampi!

Don’t worry, be Hampi! 960 960 Sonia Sgarella

Due fratelli, Harihara e Bukka, la benedizione di un santo, Vidyaranya, la vicinanza di un fiume, il Tungabhadra, la particolare conformazione del territorio: sono questi gli elementi che permisero la nascita di una delle più ricche e grandiose città dell’Asia, Vijayanagara, la “città della vittoria”.

Fondata nel 1336 nel luogo in cui già era diffusa la devozione a Shiva e Vishnu, la città, oggi conosciuta come Hampi, rimase abitata per soli 200 anni, periodo in cui tuttavia si successero almeno una quarantina di sovrani appartenenti a quattro dinastie diverse, conosciute come Sangama, Saluva, Tuluva e Aravidu. Ognuno di questi sovrani si insignì del titolo di Raya (dal sanscrito Raja, re) dando seguito all’impero che prese il nome dalla città stessa e che si espanse a tal punto da includere la quasi totalità dell’India meridionale.

Molti furono i viaggiatori arabi ed europei che la descrissero come una bellezza “tale che la pupilla di nessun occhio poteva aver visto qualcosa di simile al mondo” e ancora di più coloro che ne esaltarono la grandezza. Domingo Paes, viaggiatore portoghese del XV secolo scrisse per esempio: ” città infinita, la cui grandiosità non si può dire perché non può essere vista nella sua interezza, perché anche salendo sulle colline più alte, la città continua e non se ne vede la fine”

Eterna come Roma, immersa nell´antichità di un paesaggio prestorico, surreale, a tratti apocalittico e che non ci si spiega; capace di lasciare l´uomo stupefatto, incantato, ammutolito, quasi a credere che davvero tanta bellezza possa essere stata solo opera divina.

Hampi deve essere vista dall’alto, all´alba, al tramonto o a qualunque ora del giorno: solo cosi potrete infatti apprezzarne al massimo la bellezza e l´estensione, rivivere la storia immaginando la vivacità dei suoi bazar quando ancora qui si commerciava di tutto e fantasticando sul chi possa aver abitato quei templi che si estendono a perdita d´occhio. Forse, da qualche parte, nascosto tra quelle rocce antiche, vive ancora qualche essere illumuinato, custode di tradizioni millenarie…

Eccovi dunque una lista dei punti panoramici che vi regaleranno un´esperienza davvero indimenticabile di Hampi e dintorni:

Monkey Temple : decisamente il mio luogo preferito e sicuramente il migliore da cui ammirare il sorgere del sole. Situato dall´altra parte del fiume nel punto in cui – in accordo con il Ramayana – nacque Hanuman (il dio scimmia fedele aiutante di Rama nelle sue peripezie contro il demone Ravana), il tempio puo´ essere raggiunto dal fondo valle attraverso una scalinata di oltre 500 gradini. Occhio alle scimmie!

Monkey Temple

Monkey Temple presso Anjanadri Hill

Monkey Temple

Monkey Temple presso Anjanadri Hill

Sunset Point: se volete che il vostro tramonto venga accompagnato dalla musica dei “fricchettoni” che popolano l’altra parte del fiume allora questo e´ il posto che fa per voi. La vista sui campi di riso e´forse la più spettacolare e raggiungerlo richiede solo un piccolo sforzo: dall´attracco delle barche proseguite sempre dritto fino a che troverete la folla.

Sunset Point in Virupapur Gaddi

Sunset Point in Virupapur Gaddi

Vishnu Temple: prendendo una deviazione nei campi a sinistra appena prima di raggiungere il sunset point e proseguendo tra le rocce innalzandovi non di molto, raggiungerete questo piccolo tempio dedicato a Vishnu, ben visibile anche dalla strada principale di Virupapur Gaddi. Frequentato da poche persone vi regalerà un tramonto all’insegna della pace dei sensi. Portatevi una torcia per il ritorno e fate attenzione a non perdervi!

Vishnu Temple a Virupapur Gaddi

Vishnu Temple a Virupapur Gaddi

Durga Temple: sulla strada che porta ad Anegundi – l´antica Kishkinda secondo il Ramayana – e passato il tempio di Hanuman, sulla destra troverete le indicazioni per questo autentico santuario della fede shakta (dedicato alla Dea). Passate sotto l´arco che ne segna la porta d´accesso e quindi, risalito il versante della collina, prendete le scale che vi condurranno all´ingresso. Proseguite oltre la cella del tempio, verso la cucina e quindi inoltratevi tra la vegetazione: qui, attraversato l´antico portale della fortificazione, troverete il sentiero che vi condurrà ad un favoloso punto panoramico da cui potrete scattare delle foto meravigliose al sottostante Lakhsmi Temple, alla Anjanadri Hill e al fiume Tungabhadra. In lontananza la sagoma del Vithala Temple, il meglio conservato di tutta Hampi.

Durga Temple

Durga Temple – Vista del Lakshmi Temple e dell´Hanuman Temple

Durga Temple

Durga Temple – Vista del Tungabhadra River

Hemakuta Hill: alle spalle del Virupaksha Temple, il tempio principale di Hampi, si estende la collina Hemakuta, cosparsa di rovine archeologiche. Trattasi del miglior punto panoramico dal quale ammirare il tempio cittadino in tutta la sua interezza. Ricordatevi che, se state alloggiando dall´altra parte del fiume, l´ultima barca a motore parte alle 17.30. Passato l´orario potrete comunque servirvi delle “coracle boat”, delle sorte di cesti rotondi galleggianti che vi riporteranno a casa al costo di 50 rupie.

Hampi

Hemakuta Hill – Vista sul Virupaksha Temple

Matanga Hill: anch´essa situata dalla parte di Hampi Bazar, e´in assoluto la collina più alta della zona da cui ammirare il tramonto. Qui, uno spettacolare panorama a 360 gradi sarà la vostra ricompensa per lo sforzo sostenuto a raggiungerne la cima!

Matanga Hill

Matanga Hill – Vista sull´Achyutaraya Mandir

Matanga Hill

Matanga Hill

Davvero non basta una settimana per godere dell’immenso patrimonio che ancora sopravvive ad Hampi: il Virupaksha, il Vithala e l’Achyutaraya Mandir e ancora il recinto reale, il Monkey Temple, la stupefacente bellezza del paesaggio, l’incanto delle albe e dei tramonti, la pace tra i campi di riso, il lago, la cascata…fermatevi il più possibile per assaporarne tutta la magia! Be happy in Hampi!!!

"The Chariot" @ Vithala Temple

“The Chariot” @ Vithala Temple

Mysore e dintorni: luoghi e culture

Mysore e dintorni: luoghi e culture 2000 1333 Sonia Sgarella

Se c’è una città dell’India che riassume in sè perfettamente l’idea di “mercato”, questa, signori, e’ certamente Mysore: tessuti di seta, legno di sandalo, incenso, essenze, frutta, ghirlande di fiori e verdura sono solo alcuni dei prodotti che vengono commerciati ovunque per le sue strade, nei suoi negozi e mercati, in un contesto tanto antico quanto moderno ma non per questo meno autentico. Assolutamente niente di turistico: a Mysore sono infatti gli indiani stessi i protagonisti di quello scambio frenetico che concede alla città  solo poche ore di sonno e, così, puntualmente tutti i giorni dell’anno.

Imperdibile è l’appuntamento con il Devaraja Market, esempio perfetto di un mercato tradizionale indiano, carico di colori sgargianti, profumi inebrianti, chiasso e confusione. Percorretelo da cima a fondo senza tralasciare le vie adiacenti, assaporatene la bellezza, la vivacità e con questo lasciatevi trasportare indietro nella storia, quando Mahishūru era ancora un piccolo villaggio, governato dalla famiglia Wodeyar, allora alle dipendenze del grandioso impero Vijaianagara.

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Correva l’anno 1565 quando, con il declino di quest’ultimo, il Regno di Mysore cominciò ad acquisire gradualmente quell’indipendenza che la portò, nel 1637, ad ottenere il titolo di stato sovrano e fu l’isola di Srirangapatna ad essere scelta come capitale del regno, strappata senza indugio ad altri vassalli dell’impero.

Situata a soli 15 chilometri da Mysore, Srirangapatna e’ completamente circondata dalle acque del fiume Kaveri che proprio in questo punto dà origine alla sua prima isola (Adi Ranga). Dal Devaraja Market spostatevi quindi al City Bus Stand (fermata degli autobus locali) e salite sull’autobus 313 il quale, in circa mezz’ora e al costo di 30 rupie, vi porterà esattaemente all’ingresso del tempio che dà nome all’isola stessa.

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Si tratta del Ranganathaswami Temple, dedicato a Vishnu che dorme sulle spire del serpente cosmico. Il tempio venne fondato nel corso del IX secolo dalla dinastia dei Ganga Occidentali i quali, alleatisi prima con i Chalukya di Badami e poi con i Rashtrakuta, riuscirono a mantere la propria influenza sulla regione circostante dal 350 fino al 1000 d.c. circa. Ampliato al tempo degli Hoysala e successivamente sotto il governo Vijayanagara, si tratta di uno dei cosiddetti Pancharanga Kshetrams, luoghi di pellegrinaggio dedicati a tale manifestazione della divinità.

Racconta la storia che Vishnu Ranganatha venisse venerato anche dal controverso Tipu Sultan, meglio conosciuto come la Tigre di Mysore. Tipu Sultan ricoprì il ruolo di Sultano della città dal 1782 al 1799 e fece costruire proprio sull’isola il Daria Daulat Bagh, la sua residenza estiva. Semplice ma ricco di decorazioni e dipinti che ne ricoprono tutte le pareti interne, il palazzo, al ridicolo costo di 100 rupie, merita indubbiamente una visita. Nei suoi pressi potrete poi anche ammirare il cosiddetto Gumbaz, un mausoleo costruito in memoria del padre Hyder Ali ma destinato ad ospitare anche le sue spoglie mortali.

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Ma ritornando ai templi, vi è un altro luogo di pellegrinaggio della fede hindu che potrete visitare partendo da Mysore ed è il Tempio Chamundeshvari, arroccato sulla cima della Chamundi Hill, sovrastante la città ad un altezza di circa 1000 metri. Non preoccupatevi, per i meno coraggiosi esiste una valida alternativa al percorrere a piedi gli oltre mille gradini che conducono alla sua sommità, ovvero il pullman n. 201, anch’esso in partenza dal City Bus Stand (costo 28 rupie, distanza 13 chilometri).

La Dea Chamundi, venerata per secoli dai regnanti di Mysore, fu colei che, secondo il mito, uccise il demone Mahishasura, rendendo alla città l’antico nome di Mahishūru. Chamunda, aspetto terrifico della Madre Divina, della Dea con la “d” maiuscola, conosciuta anche come Durga, deve il suo nome ai demoni Chanda e Munda che trovarono sconfitta di fronte alla sua ira.

Vuole la tradizione che il tempio rientri nella lista dei 51 Shakti Peetha, ovvero di quei luoghi sacri alla divinità femminile dove, in accordo con il mito, sarebbero cadute le parti del corpo smembrato di Sati, la prima consorte di Shiva. Centinaia di pellegrini giungono fin qua da ogni parte dell’India offrendo fiori e noci di cocco che verranno spaccate e benedette dai sacerdoti del tempio per poi essere consumate da chi le ha recate.

L’elenco delle meraviglie collegate alla fede induista non si esaurisce tuttavia qui: esiste ancora un santuario che, seppur non più attivo, bensì monumento archeologico, costituisce uno dei massimi capolavori dell’India, commissionato dalla dinastia degli Hoysala. Risalente al XIII secolo, il Tempio di Chennakeshava a Somnathpur è certamente il meglio conservato, il più raffinato e completo esempio di architettura a pianta stellata, dotato di tre celle e abbellito da splendide sculture in pietra.

Somnathpur si trova a 35 chilometri da Mysore e potrete raggiungerlo facilmente dal Main Bus Stand (stazione degli autobus a lunga percorrenza) salendo su qualunque pullman diretto a Bannur e lì cambiare mezzo per percorrere gli ultimi chilometri di meravigliosa campagna indiana. Sarà la vostra occasione per entrare in contatto con la vita rurale dell’India, una delle tante esperienze interessanti e appaganti che questo paese vi riuscirà ad offrire.

Tornati dunque a Mysore, se è domenica e sono circa le 19.00, non perdetevi assolutamente lo spettacolo più pacchiano ma al tempo stesso incantevole che la città vi possa offrire: recatevi al Palazzo Reale (anche conosciuto come Amba Vilas Palace) e aspettate che si accendano le luci…wow…”stupefacente”!

Il palazzo costituisce ancora oggi la residenza ufficiale della famiglia Wodeyar che governò il Regno di Mysore dal 1399 al 1947 (anno dell’indipendenza) con un breve intervallo tra il 1760 e il 1799, quando il controllo passò nelle mani di Hyder Ali e, in seguito, al figlio Tipu Sultan.

Elementi architettonici indo-saraceni, islamici, rajput e talora gotici, ne decorano sia le facciate esterne che gli ampi locali interni, rendendogli la fama di essere uno tra i palazzi più belli di tutta l’India, seppur di fattura abbastanza recente. La costruzione della residenza, commissionata nel 1897, venne infatti portata a termine solo nel 1912. Se non lo avete già fatto, ritornateci dunque anche di giorno – quando gli spazi interni sono aperti al pubblico – e non stupitevi se tra i visitatori troverete anche tanti monaci buddhisti.

A circa 80 chilometri da Mysore sorgono infatti alcuni insediamenti di rifugiati tibetani a cui lo stato del Karnataka ha concesso la possibilità di trasferirsi in seguito all’esilio del 1959. Nel villaggio di Bylakuppe potrete visitare il più grande centro di insegnamento di Buddhismo tibetano Nyingma al mondo. Sono oltre 5000, infatti, i monaci e le monache che qui risiedono e i quali, non appena gli viene dato il permesso di uscire, amano recarsi a Mysore per entrare a far parte della folla di consumisti sfrenati (i negozi di elettronica sono i loro preferiti!).

Meno riconoscibili sotto il profilo estetico sono invece i seguaci della fede cristiana e jainista. Per quanto riguarda questi ultimi, sempre ad una distanza di circa 80 chilometri da Mysore, a Shravanabelagola, si trova uno dei luoghi di pellegrinaggio più importanti per la tradizione monastica Digambara (per uno studio completo sulla fede jainista fate riferimento al testo di Paul Dundas, “Il Jainismo”).

Qui, sulla cima della collina granitica Vindyagiri, si incontra l’imponente statua di Gommateshvara Bahubali, secondo la tradizione, figlio del primo grande santo jaina (Tirthankara). Alta 17 metri e scolpita nella roccia monolitica, la statua di Bahubali venne anch’essa commissionata nel X secolo sotto il regno della dinastia dei Ganga.

Tornati di nuovo a Mysore non vi rimane dunque altro che visitare la Chiesa di Santa Philomena, costruita nel 1936 nello stile neogotico che prese ispirazione da quello della cattedrale di Colonia, in Germania.

Lo scambio a Mysore non riguarda quindi soltanto le merci: la città rappresenta un luogo di incontro e di convivenza tra le maggiori religioni dell’India, a dimostrare l’immensa tolleranza che regna sovrana in questo paese. E’ questo uno dei tanti aspetti positivi che chi continua imperterrito sulla strada del terrorismo psicologico, contribuendo a diffondere nient’altro che banalità e tragedie, dovrebbe prima valutare e quindi mettere in risalto!

Cascate di Hogenakkal

Dal Karnataka al Tamil Nadu: viaggio tra isole e cascate del fiume Kaveri

Dal Karnataka al Tamil Nadu: viaggio tra isole e cascate del fiume Kaveri 1024 768 Sonia Sgarella

Lo chiamano il “Gange del Sud” ed è sicuramente il fiume più venerato dell’India Meridionale. Lunga circa 800 kilometri, la Kaveri – al femminile, così come femminili sono la maggior parte dei corsi d’acqua indiani – scorre in direzione NO-SE: sgorga dalla Collina Brahmagiri, nei Ghat Occidentali, attraversa l’Altopiano del Deccan e sfocia quindi nel Golfo del Bengala, nei pressi di Chidambaram.

Diverse sono le leggende che ne raccontano la nascita come di una bellissima fanciulla, figlia di Brahma, la quale espresse il desiderio di trasformarsi in un fiume perchè il suo scorrere potesse lavare i peccati della gente e le sue acque essere fonte di vita, rendendo fertili le terre da esse bagnate, oggi divise tra lo stato del Karnataka e quello del Tamil Nadu.

Ed è proprio per ringraziarla del suo essere fonte di abbondanza che migliaia di pellegrini ogni anno raggiungono la località di Talakaveri, nel Distretto di Coorg, in Karanataka, a 1276 metri d’altezza, per immergersi nelle acque sorgive del fiume, raccolte all’interno di una piccola vasca a gradoni, che ben si presta per il rito delle abluzioni.

Il distretto di Coorg, ora Kodagu, è una regione prevalentemente agricola, divenuta importantissima nella produzione di caffè.  Estese piantagioni crescono infatti oggi all’ombra degli eucalipti, accanto ai campi di riso, rendendo il territorio un perfetto esempio di sistema agroforestale che ha reso il distretto uno tra i più ricchi di tutta l’India.

Piantagioni di Caffè - Distretto di Coorg

Piantagioni di Caffè – Distretto di Coorg

Lasciate quindi le montagne alle spalle e giunti ora sull’Altopiano del Deccan, ecco che appare Srirangapatna, la prima isola (Adi Ranga) formata dal fiume Kaveri,  a soli 15 kilometri da Mysore. Da sempre un luogo di pellegrinaggio per i devoti di fede vishuita, l’isola prende nome dal Tempio di Sriranganathaswamy, dedicato a Vishu che dorme sul serpente cosmico, uno dei cinque Pancharanga Kshetrams, luoghi sacri dedicati a tale manifestazione della divinità.

Vishnu disteso sul serpente cosmico

Vishnu disteso sul serpente cosmico

Secondo la concezione ciclica hindu del tempo, alla fine di ogni grande era, ovvero alla fine di una vita del dio Brahma, il cosmo si dissolve e tutto ritorna in uno stato di quiescenza indifferenziata, ciò che precede una nuova rinascita. Tale situazione viene generalmente rappresentata dall’immagine di Vishnu disteso sulle spire del serpente Shesha, un cobra dalle molteplici teste, il simbolo dell’oceano primordiale. Dall’ombelico di Vishnu spunta quindi Brahma, seduto su un fiore di loto, il quale ridà impulso alla creazione.

Ma l’isola di Srirangapatna è forse più famosa perché collegata al nome di un grande sovrano, certamente il più valido oppositore ai piani di espansione degli inglesi in India: Tipu Sultan, meglio noto come la “Tigre di Mysore”. Ancora oggi sull’isola possiamo ammirare alcune delle strutture che furono da lui commissionate per fare di Srirangapatna una vera e propria città imperiale: il Daria Daulat Bagh, ovvero quello che fu il suo Palazzo d’estate – semplice ma riccamente decorato all’interno – e il Mausoleo Gumbaz, costruito in memoria del padre Haider Ali ma destinato ad ospitare le sue spoglie mortali.

Proseguiamo quindi il nostro viaggio lungo le sponde del fiume più sacro dell’India del Sud e, prima che questo cominci a marcare la linea di confine tra Karnataka e Tamil Nadu, raggiungiamo la seconda grande isola, quella “di mezzo” (Madhya Ranga), conosciuta con il nome di Shivanasamudra. Anche qui troviamo un tempio dedicato a Shri Ranganathaswamy ma non solo: l’isola è infatti rinomata per via di quelle cascate che, con un salto di 98 metri sono tra le più alte dell’India intera.

Cascate di Shivanasamudra

Cascate di Shivanasamudra

Shivanasamudra significa “l’Oceano di Shiva” ed è proprio qui che possiamo godere di uno di quegli spettacoli della natura che troppo spesso, parlando di India, vengono sottovalutati e di conseguenza tagliati fuori dagli itinerari turistici. Le cascate gemelle di Gaganachukki, formate dal ramo ovest del fiume Kaveri, e quelle di Bharachukki , formate dal ramo est, sono tutt’oggi fonte di energia per una delle più antiche centrali idroelettriche del paese. Per vederle al massimo della loro portata sarebbe meglio visitarle in autunno, appena finita la stagione dei monsoni.

Superato il confine e prima di giungere all’ultima isola sacra (Antya Ranga), vale la pena di soffermarsi ad ammirare altre cascate del fiume Kaveri, quelle di Hogenakkal, anche dette le “Niagara dell’India”. Nonostante il salto più ridotto rispetto a quelle di Shivanasamudra – solo 20 metri – trattasi di cascate altrettanto spettacolari, certo più impressionanti durante la stagione delle piogge. Qualora tuttavia doveste trovarvi da queste parti nella stagione secca, non disperate: la portata d’acqua sarà forse meno imponente ma almeno potrete godervi un rilassante giro sul fiume a bordo di una coracle boat, piccola imbarcazione rotonda fatta in bambù.

Cascate di Hogenakkal

Cascate di Hogenakkal

Ed eccoci quindi finalmente giunti sull’isola di Srirangam, l’ultima, uno dei principali fulcri religiosi dell’India intera. Situata nei pressi della città di Tiruchirappalli (Trichy), nello stato del Tamil Nadu, l’isola ospita il tempio più venerato tra quelli dedicati a  Vishnu Ranganatha, il “Signore dell’Universo”: un’importantissima meta di pellegrinaggio per i devoti di fede vishnuita e certamente, quello più eminente tra i 108 devya desams – luoghi di culto descritti nei versi dei santi poeti tamil (alvar) – nonchè il più rinomato tra i cinque Pancharanga Kshetrams.

Un luogo d’incontro tra sacro e profano, dove trovano spazio, non solo riti e cerimonie spirituali, bensì vita civile e attività economiche, rendendolo oltremodo uno dei templi più vitali e prosperi di tutta la penisola.

Trattasi di una struttura colossale, mai eguagliata, estesa su un’area di sessantatre ettari, costruita molto probabilmente sulle rovine di un antico tempio Pallava ma ampliata su scala grandiosa solo nei secoli successivi, sotto il dominio dei Chola(XI-XIII sec.), dei Vijayanagara(XIV-XVII sec.) e dei Nayak(XVI-XVIII sec.): rappresenta dunque il punto d’arrivo di secoli di elaborazione, così come è tipico dei complessi religiosi nell’India del Sud.

Mentre gli altri templi della regione sono circondati, al massimo, da quattro cerchia di mura concentriche (prakara), quello di Srirangam ne conta ben sette per un totale di 21 portali d’ingresso (gopuram), il più alto dei quali, quello Sud – ultimato nel 1987 su commissione di una famiglia di ricchi proprietari terrieri – raggiunge oggi i 72 metri d’altezza!

Tempio di Srirangam

Tempio di Srirangam

Solo dal quarto prakara in avanti si entra però nella parte più sacra del tempio ed è qui che vi è quindi richiesto di procedere a piedi nudi. Tutt’attorno, e via via verso l’esterno, una profusione di bancarelle , negozietti, mercanti, che rendono al luogo l’onore di essere letteralmente la principale tra le città-tempio indiane. All’interno una magnifica “sala delle mille colonne” decorata con sculture del periodo Vijayanagara raffiguranti cavalli rampanti e, accanto a questa, l’unico gopuram bianco dell’intero complesso.

"Sala delle Mille Colonne"

“Sala delle Mille Colonne”

Ed eccoci quindi giunti alla fine del corso di questa grande signora, chiamata Kaveri che alla fine del suo viaggio si divide nuovamente in due rami, dando origine a quel delta che lentamente la porterà a sfociare nel Golfo del Bengala.

Tutti i luoghi sopra descritti sono facilmente raggiungibili con i mezzi pubblici e possono rappresentare meta di interessanti escursioni in giornata dai principali centri abitati di Karnataka e Tamil Nadu. Fateci un pensierino!

 

Vista sulla moschea - Ibrahim Rauza

Bijapur: la chiamano l’Agra del Sud

Bijapur: la chiamano l’Agra del Sud 2498 1836 Sonia Sgarella

La storia dell’ India, tanto affascinante quanto intricata, ci racconta che ad un certo punto, verso la fine del XII secolo, le fertili e ambite pianure del Nord – tra cui certamente quella gangetica – vennero invase da una potenza straniera, proveniente dai passi montani dell’ Hindu Kush, originaria di quel territorio chiamato odiernamente Afghanistan.

Trattavasi, nello specifico, di un potente esercito di combattenti a cavallo e dotati di arco composito, per lo più formato da schiavi o ex schiavi di estrazione turca, persiana e soprattutto afghana, capeggiati dal bellicoso quanto ambizioso Muhammad di Ghur (1160-1206 d.c.), il cadetto di una famiglia di principi di religione sunnita.

A lui, come ci tramandano gli studiosi, toccò in sorte l’importante compito d’iniziare la costruzione di uno stabile potere islamico nell’India del Nord, un potere che, successivamente, si sarebbe esteso a gran parte del subcontinente, inizialmente per mano dei suoi generali.

Fu infatti a uno di questi che venne affidato il compito di impadronirsi di Delhi, quella stessa città nella quale gli verrà conferito il titolo di sultano. Il suo nome era Qutb-ud-din Aibak e fu con lui che, nel 1206, ebbe inizio la storia del sultanato di Delhi e, con essa, quel lungo periodo che cade sotto il nome di “età musulmana”, destinata a concludersi definitivamente solo nella metà del Settecento.

Un’età che vide il succedersi di numerosi sovrani e il progressivo quanto inevitabile sfaldamento del potere politico tanto più il dominio del sultanato si espandeva verso sud. Non furono rari infatti i tentativi di ribellione dei membri della classe dirigente sultaniale i quali, approfittando della distanza da Delhi, riuscirono nell’impresa di dare origine a sultanati indipendenti, tra cui quello forse più famoso e certamente più meridionale, sultanato bahmanide.

Il sultanato bahmanide e l’impero Vijayanagara – creato nel 1336 da alcuni principi hindù del Meridione come reazione contro il sultanato di Delhi – divennero a questo punto, i protagonisti della lotta per l’egemonia nel Deccan. Una situazione che tuttavia non durò per molto perché, già alla fine del Quattrocento, il sultanato bahmanide si dissolse, dando origine a cinque stati indipendenti, che altro non fecero se non aumentare il numero dei contendenti nella lotta per il potere.

Tra questi (BijapurGolcondaAhmednagarBidar e Berar) fu sicuramente il sultanato di Bijapur il più dinamico e longevo e che si seppe, tra l’altro, maggiormente adattare al contesto hindù. Fondata dai Chalukya di Kalyani nel X secolo con il nome di Vijayapura (“città della vittoria”), Bijapur divenne nel 1518 la capitale della dinastia degli Adil Shah che governarono le redini del neonato sultanato indipendente fino al 1686, quando la città cadde sotto il controllo dell’impero Mughal.

Costantemente in lotta con l’impero Vijayanagara e con gli altri sultanati del Deccan, i governatori della dinastia Adil Shah dotarono Bijapur di imponenti fortificazioni nonché di meravigliosi monumenti che le renderanno in seguito il titolo di “Agra del Sud”. Nonostante infatti, ad un primo impatto, si potrebbe pensare di essere giunti nell’ultimo avamposto dell’India meridionale, basterà poco per ricredersi e realizzare di trovarsi invece in quella che fu la più imponente città musulmana nell’India del Sud.

Un centro di cultura e di apprendimento, un luogo di scambi e di commerci, fu soprattutto sotto il governo di Ibrahim Adil Shah II (1556-1627 d.c.) e di Mohammed Adil Shah (1627-1656 d.c.), profondamente dediti alle arti e all’architettura, che la città fortificata venne abbellita con due perle preziose: l’Ibrahim Rauza e il Golgumbaz.

l’Ibrahim Rauza:

Commissionato originariamente per essere la tomba di Taj Sultana, moglie di Ibrahim Adil Shah II e quindi regina del sultanato, l’Ibrahim Rauza finirà per essere il luogo di eterno riposo di entrambi, situato a poco meno di un kilometro a ovest dei bastioni, all’esterno quindi della cinta muraria che circonda il centro cittadino.

Ibrahim Rauza - Bijapur

Ibrahim Rauza – Bijapur

Costruito nel 1626, trattasi di un luogo incantevole che colpisce per la sua grazia e semplicità, di un paradiso di pace lontano dal traffico e dalle orde di turisti che affollano invece le bellezze del Nord, di un complesso composto da una tomba e da una moschea che si specchiano l’una nell’altra dai lati opposti di una grande vasca per le abluzioni, sfoggiando al cielo i loro meravigliosi minareti che terminano a forma di bocciolo di fiore (o a forma di cipolla, per i meno poetici).

Decorazioni, intarsi ed iscrizioni di altissimo livello artistico ricoprono i pilastri, le arcate, i portali e le finestre di entrambi gli edifici rendendolo davvero uno dei massimi esempi di architettura musulmana in India del Sud, quello che, secondo la tradizione, avrebbe ispirato Shah Jahan nella costruzione del Taj Mahal, il mitico simbolo dell’India.

Intaglio nel legno - Ibrahim Rauza

Intaglio nel legno – Ibrahim Rauza

Iscrizioni - Ibrahim Rauza

Iscrizioni – Ibrahim Rauza

Finestre della moschea - Ibrahim Rauza

Finestre della moschea – Ibrahim Rauza

– Il Golgumbaz:

Sicuramente l’edificio più famoso di Bijapur, visibile da quasi ogni angolo della città, il Golgumbaz, il cui nome significa “cupola tonda”, svetta maestoso ad un’altezza di 50 metri, a poca distanza dalla porta Est, all’interno delle mura cittadine.

Golgumbaz - Bijapur

Golgumbaz – Bijapur

Costruito a partire dal 1626 dal successore di Ibrahim – Mohammed Adil Shah – l’edificio venne concepito come mausoleo destinato alle spoglie del sovrano stesso, nonostante dovettero passare altri trent’anni prima della sua morte (e del completamento dell’opera).

Con un diametro di 37,92 metri, la cupola del Golgumbaz – centrale rispetto ai quattro minareti che si innalzano per sette piani agli angoli dell’edificio cubico che ne forma la base – è senza dubbio una delle più grandi cupole del mondo, seconda solo – almeno così sembrerebbe – a quella della Basilica di S. Pietro a Roma!

Avvicinandosi al mausoleo e quindi solo entrando, ci possiamo rendere conto dell’imponenza della struttura e dell’ingegno tecnico e artistico che venne impiegato nella sua costruzione. Dall’interno la cupola sembra davvero non avere supporto!

Salendo una delle scale a chiocciola che si innalzano all’interno dei quattro minareti ottagonali, potrete raggiungere dapprima la balconata esterna alla cupola, da cui godere di ottime viste sulla città e quindi quella interna, la cosiddetta “Galleria dei Sussurri” (Whispering Gallery),  dalla quale vi potrete affacciare nel vuoto, proprio sopra alla tomba del grande sovrano.

E’ questo il luogo dove ogni suono sussurrato in un angolo, potrà essere chiaramente ascoltato all’angolo opposto, dove riecheggerà per almeno undici volte. Un ambiente magico, la cui quiete viene però presto disturbata dalle orde di studenti che tenteranno di fare arrivare il suono della loro voce il più lontano possibile! Se volete evitarli, cercate di arrivare entro le 8. Il mausoleo apre alle 6…

Golgumbaz - Ingresso

Golgumbaz – Ingresso

Golgumbaz- Dettagli decorativi

Golgumbaz- Dettagli decorativi

Golgumbaz - Interno del mausoleo

Golgumbaz – Interno del mausoleo

Ma le bellezze di Bijapur certo non si esauriscono qui. Vi sono infatti numerosi altri luoghi a cui potrete dedicare del tempo durante la vostra permanenza in questa indaffarata città del Karnataka:

– la Jama Masjid, la moschea che venne commissionata nel 1565 da Ali Adil Shah I (1558-1579 d.c.) per commemorare la vittoria nella battaglia di Talikota del 26 gennaio, che vide i sultanati del Deccan sconfiggere definitivamente l’ultimo grande impero meridionale: quello dei Viajayanagara;

– il Mehtar Mahal, una delle più eleganti strutture di Bijapur, nonostante le sue modeste dimensioni. Trattasi di una torre a due piani, abbellita da meravigliose finestre con balconcini decorati in stile indo-saraceno e coronata da due snelli minareti di fattura altrettanto pregevole. Dalla porta si accede alla moschea retrostante;

– il Gagan Mahal, all’interno di quello che rimane della Cittadella, fu un tempo il “Palazzo Paradisiaco” costruito nel 1561 da Ali Adil Shah I per essere utilizzato come sua residenza. Fu in seguito usato dagli altri sultani come durbar o “sala delle udienze”;

Gagan Mahal - The Citadel - Bijapur

Gagan Mahal – The Citadel – Bijapur

– il Bara Kaman (“dodici archi”), un mausoleo commissionato da Ali Adil Shah II (1657-1672 d.c.) nel 1672 ma rimasto purtroppo incompiuto per via della sua morte improvvisa. Vuole la tradizione che l’edificio dovesse raggiungere un’altezza tale che la sua ombra potesse oscurare l’imponente Golgumbaz e quindi la fama di suo padre.

Bara Kaman - Bijapur

Bara Kaman – Bijapur

– infine il Malik-i-Maidan, un cannone dal peso di 55 tonnellate, forse il più grande cannone medievale mai forgiato.

Detto questo dunque e nonostante sia probabile che nessun abitante hindù del Karnataka troverà motivo per consigliarvi una visita a Bijapur – città oltretutto a maggioranza  musulmana – il mio consiglio è quello che voi ci andiate lo stesso per giudicare coi vostri occhi se davvero esista una città degna dell’appellativo di “Agra del Sud”! Buon viaggio!

Tempio di Chennakeshara a Belur - Facciata Ovest retro

La maestria degli Hoysala in lista d’attesa

La maestria degli Hoysala in lista d’attesa 1200 795 Sonia Sgarella

Torniamo oggi in Karnataka, nella terra della lingua Kannada, il settimo stato dell’India per estensione, l’ottavo per popolazione, luogo di confine tra il centro e l’estremo sud del paese, dove il silenzio e la quiete dei villaggi medievali si contrappongono alla frenesia e al rumore delle città moderne, tra cui, in primis, ovviamente Bangalore, la “Silicon Valley” d’Oriente.

La storia del Karnataka, così come, in definitiva, quella dell’India intera, fu una storia di scontri e incontri: una storia di battaglie, di perdite, di troni usurpati; ma anche storia di alleanze, di conquiste, di feudatari divenuti regnanti; storia di una fusione di tradizioni diverse che diedero vita a stili originali, più unici che rari.

Vi ricordate dunque dei Primi Chalukya Occidentali (VI-VIII sec.), autori delle meraviglie di Badami, Aihole e Pattadakal? Venivano così chiamati per distinguerli da altre branche della stessa dinastia che si successero nel tempo, quali i Chalukya Orientali (VII-XII sec.) e i Tardi Chalukya Occidentali (X-XII sec.).

Fu proprio da questi ultimi, detti anche Chalukya di Kalyani, che originò il regno indipendente degli Hoysala, loro subordinati fino al 1187, anno in cui il sovrano Veera Ballala II (1173-1220 ca.) realizzò l’ambizione d’indipendenza che fu già di suo nonno Vishnuvardhana (1108-1152 ca.).

Un’indipendenza a lungo cercata, che vide una famiglia inizialmente di modeste origini, raggiungere dapprima lo status di regno, per poi gradualmente istituire un vero e proprio impero nello stato del Karnataka, destinato ad una vita grandiosa e fiorente, che lascerà un’impronta indelebile nella storia di quel particolare stile architettonico templare chiamato vesara, cioè “mulo”.

Il nome sta chiaramente ad indicare una forma ibrida, intermedia, che si differenzia, ma che allo stesso tempo fonde in un unico genere, le caratteristiche delle due architetture templari più diffuse: quella nagara, “del nord” e quella dravida, “del sud”.

Fra gli esemplari di maggior pregio che vengono catalogati come vesara si annoverano appunto alcuni complessi templari costruiti sotto la dinastia degli Hoysala, tra cui il Tempio di Chennakeshava, a Belur, e il tempio di Hoysaleshvara, ad Halebid.

Belur, che fu la prima capitale del regno degli Hoysala, costituisce una delle maggiori destinazioni turistiche nello stato del Karnataka, situata nel cuore della campagna a soli 30 kilometri circa da Hassan, il capoluogo dell’omonimo distretto.

Ancora oggi attivo, il tempio cittadino, dedicato a Chennakeshava (una delle 24 forme di Vishnu), venne costruito nel 1117 dal re Vishnuvardhana al fine di celebrare la sua vittoria contro i Chola di Thanjavur a Talakad.

Quello che, a primo impatto, potrebbe sembrare un tempio di modesta struttura, dal tetto piatto e sviluppato insolitamente in una prospettiva di larghezza piuttosto che di altezza, dando un’occhiata più approfondita e avvicinandosi alle facciate, risulta invece essere un’opera d’arte stupefacente, dove la profusione di favolosi dettagli e la raffinatezza delle sculture, lasciano il visitatore stupefatto e senza parole.

Costruito su una piattaforma elevata a forma di stella, come è tipico dei migliori esempi di epoca Hoysala, il tempio di Chennakeshava è costituito da un’unica cella, preceduta da un vasto padiglione colonnato che, aperto in origine, fu in seguito chiuso con l’utilizzo di affascinanti grate traforate.

Tempio di Chennakeshara a Belur

Tempio di Chennakeshara a Belur

E sono proprio le colonne, che troviamo riprodotte anche all’esterno, l’elemento peculiare che caratterizza l’architettura Hoysala: ottenute al tornio, sembra che siano composte di tanti dischi impilati uno sopra l’altro.

Interno del Tempio di Chennakeshava a Belur - colonne

Interno del Tempio di Chennakeshava a Belur – colonne

Centinaia, se non migliaia di immagini divine ricoprono ogni centimetro delle facciate del tempio, che si susseguono a zig-zag creando spazio per la fittissima scultura. La facilità di modellazione della roccia saponaria utilizzata nella costruzione del tempio, che a contatto con l’aria in seguito si indurisce e si lucida, ha permesso ai vari artisti di lasciarci opere di grande valore, il cui intaglio intricato ricorda molto le lavorazioni dell’avorio e del legno di sandalo, ancora diffuse nella regione.

Narasimha - Tempio di Chennakeshava

Narasimha – Tempio di Chennakeshava

La maggior parte di queste figure è, in effetti, firmata dallo scultore, un fatto non comune nell’arte dell’India antica, e comunque mai prominente come in quest’epoca e regione. Famose e pregiatissime sono le figure femminili, dette madanika, shalabhanjika o apsara, che formano come delle mensole fra le colonne e il tetto del padiglione, leggermente inclinate perché siano ben visibili anche dal piano della circumambulazione rituale. Tra tutte, la più rinomata è forse quella di Darpana Sundari, “la bella con lo specchio”.

Darpana Sundari - Tempio di Chennakeshava a Belur

Darpana Sundari – Tempio di Chennakeshava a Belur

Da notare, in entrata, anche la bella statua di Garuda, il veicolo di Vishnu.

Lord Garuda - Belur - Tempio di Chennakeshava

Lord Garuda – Belur – Tempio di Chennakeshava

L’altro grande monumento nello stile ornato degli Hoysala è il Tempio di Hoysaleshvara ad Halebid, a soli 16 kilometri da Belur. Un tempo chiamata Dorasamudra, la città – che fu capitale del regno sotto il governo di Veera Ballala II – venne rinominata Hale-bidu (“città morta”) in seguito al suo saccheggio e alla sua distruzione avvenuta nel 1311 per mano del Sultanato di Delhi.

Il tempio, consacrato al culto di Shiva, venne costruito all’incirca fra i 1121 e il 1160. Come il Chennakeshvara, anche l’Hoysaleshvara si estende in una prospettiva orizzontale ed è probabile che, in entrambi i casi, le elevazioni della cella siano semplicemente andate distrutte, piuttosto che non essere mai state ultimate.

Il complesso, anche in questo caso, è costruito su una piattaforma dalla pianta stellata ma questa volta i santuari sono due, uno posto accanto all’altro in modo simmetrico, ciascuno preceduto da un’ampia sala e collegati fra loro da un transetto. Davanti ad entrambi, un padiglione per il toro Nandin, cavalcatura di Shiva.

Sulle pareti esterne l’arte Hoysala raggiunge il massimo splendore: forme fluide realizzate con straordinaria meticolosità, danno vita ad un insieme di esuberante armonia. Tra le tante sculture ve ne sono alcune di particolare fascino e interesse: il Demone Ravana nell’atto di scuotere il Monte Kailash, dimora di Shiva e Parvati;

Tempio di Hoysaleshvara a Halebid - Ravana che scuote il monte Kailash

Tempio di Hoysaleshvara a Halebid – Ravana che scuote il monte Kailash

Shiva che sconfigge il Demone Elefante (Gajasura Murti);

Tempio di Hoysaleshvara - Gajasura Murti

Tempio di Hoysaleshvara – Gajasura Murti

Krishna che solleva con un braccio la montagna di Govardhana per proteggere il suo popolo dalla pioggia torrenziale;

Tempio di Hoysaleshvara - Krishna Govardhan

Tempio di Hoysaleshvara – Krishna Govardhan

e poi ancora Durga che sconfigge il Demone Bufalo, Vishu nella forma di Cinghiale, processioni di guerrieri a cavallo, episodi del Mahabaratha e del Ramayana, ninfe celesti, danzatrici divine, animali, decorazioni floreali, il tutto volto ad una costante divulgazione della fede induista.

Entrambi i complessi appena descritti sono stati proposti per essere inseriti nella lista dei Patrimoni Mondiali dell’Unesco in quanto considerati di eccezionale valore universale. Tre sono le motivazioni allegate alla domanda, ognuna delle quali rispondente ad uno dei dieci criteri previsti nelle Linee Guida per l’Attuazione della Convenzione del 1972:

– Criterio(ii): i complessi degli Hoysala mostrano un importante interscambio di valori umani.

In una regione dove spesso vishnuiti e shivaiti si trovavavno in conflitto ideologico, i complessi degli Hoysala creavano un ponte di comunicazione, riconoscendo e rispettando entrambe le fedi. Non solo, gli Hoysala furono anche grandi sostenitori della fede jainista. In secondo luogo, lo stile ibrido dei templi Hoysala è testimone di un sincretismo non solo religioso ma anche architettonico.

-Criterio(iii): i complessi degli Hoysala costituiscono una testimonianza eccezionale delle straordinarie realizzazioni artistiche, dell’abilità architettonica e del contributo culturale apportato da una civiltà ormai scomparsa.

La piattaforma a pianta stellata, le colonne tornite, gli intagli squisiti e l’attenzione riposta nello scolpire i minuziosi dettagli ornamentali, gli hanno fatto guadagnare il riconoscimento come eccezionali capolavori di arte.

-Criterio(vi): i complessi degli Hoysala possono essere associati a tradizioni e opere che ancora sopravvivono nel tempo.

Il culto all’interno dei templi è sempre rimasto attivo, la lingua e la letteratura kannada si svilupparono proprio in questo periodo così come la danza Bharatanatyam, che veniva rappresentata nei padiglioni adiacenti al tempio principale. Tutte tradizioni che sopravvivono ancora nei giorni nostri.

Stiamo dunque a vedere: i complessi templari degli Hoysala potrebbero diventare la trentatreesima proprietà indiana iscritta nella Lista del Patrimonio Mondiale Unesco.

Ingresso del Tempio di Durga a Aihole

Badami, Aihole e Pattadakal: le meraviglie dei Chalukya

Badami, Aihole e Pattadakal: le meraviglie dei Chalukya 2560 1920 Sonia Sgarella

Grossomodo nello stesso periodo che vide fiorire il regno dei Pallava in Tamil Nadu, dall’attuale stato del Karnataka si espanse il dominio della dinastia dei Chalukya. I Chalukya di Badami o Primi Chalukya Occidentali – per distinguerli da altre branche che si successero nel tempo – stabilirono la propria capitale nell’antica Vatapi (Badami) e da lì arrivarono a dominare un impero che si estendeva dalle rive del fiume Kaveri, a sud, alle sponde del fiume Narmada, a nord, ai margini settentrionali dell’Altopiano del Deccan.

Grandi nemici dei Pallava di Kanchipuram, con cui ingaggiarono guerre dalla alterne vicende, i Chalukya di Badami segnarono il passaggio dall’epoca dei piccoli regni del sud a quella dei grandi imperi meridionali, sotto la guida di valorosi sovrani che combatterono mille battaglie, nelle quali alcuni di loro persero la vita.

Pulakeshin I (540-566 d.c. circa), il fondatore della dinastia; Pulakeshin II (610-642 d.c. circa), forse il meglio conosciuto e uno tra i più rimarchevoli sovrani nella storia dell’India, colui che arrestò l’avanzata verso sud del potente Harsha di Kanauj e che da grande eroe morì combattendo contro i Pallava; Vikramaditya I (655-680 d.c. circa), che ristabilì l’ordine nel regno dopo la morte del padre e scacciò i Pallava dalla capitale Badami; Vikramaditya II (733-744 d.c. circa), riconosciuto in tutto l’impero per la sua benevolenza e che risollevò le sorti della dinastia espandendo il suo dominio in gran parte del Tamil Nadu; Kirtivarman II, l’ultimo regnante della dinastia che venne sconfitto dai Rashtrakuta, feudatari dei Chalukya, i quali regnarono fino al 973 d.c., quando il potere tornò nelle mani dei Chalukya di Kalyani (o Chalukya Occidentali).

Sono questi i nomi di coloro che, non solo rivoluzionarono la storia dell’India meridionale, ma diedero inizio ad un capitolo cruciale nell’architettura religiosa indiana. Instancabili costruttori di edifici sacri, i Chalukya di Badami diedero vita al cosiddetto stile vesara (ibrido), punto di convergenza tra le tradizioni artistiche del Nord e del Sud. I Chalukya non adottano infatti con decisione né lo stile templare nagara (del Nord), né quello dravida (del Sud): al contrario, edificarono uno accanto all’altro, santuari costruiti nei due stili, nonché forme peculiari che tuttavia non verranno sviluppate o riproposte in futuro.

Il repertorio dell’edilizia religiosa Chalukya conta tra i suoi esemplari templi rupestri, di cui si hanno testimonianze notevoli ad Aihole (pronunciato Aivolli) e a Badami, e templi costruiti, di cui gli esempi più rappresentativi si conservano ad Aihole e Pattadakal, sito Patrimonio Mondiale dell’Unesco.

I segni distintivi della scuola architettonica Chalukya di Badami sono di facile identificazione: assemblaggio a secco dei blocchi di arenaria, tetti per lo più piatti, soffitti finemente decorati e immagini divine ben isolate le une dalle altre, il tutto inserito in uno spirito estetico canonico definibile “classico”.

Situata sulle rive del fiume Malaprabha, Aihole, che fu la capitale del regno Chalukya prima di Badami, venne definita dallo studioso britannico Percy Brown “una delle culle dell’architettura templare indiana”. Oltre 125 templi, commissionati tra il VI e l’XI secolo dai Chalukya di Badami, dai Rashtrakuta e dai Chalukya di Kalyani, si trovano infatti concentrati in uno dei siti archeologici più ricchi di monumenti di tutta la regione, divisi oggi in 22 gruppi.

Raro nel suo genere per la planimetria a forma absidale che lo caratterizza è il cosiddetto tempio di Durga, il cui nome sembrerebbe trarre origine da una fortezza (“durga”) che si trovava nei pressi del tempio e di cui effettivamente se ne conservano ancora oggi i resti. Il tempio, costituito di una veranda con due scalinate, di un padiglione colonnato (mandapa) e della cella sacra, è circondato da un ambulacro, ovvero da un portico perimetrale che regala al devoto un’ulteriore opportunità di circumambulazione, atto di culto che si compie porgendo la destra al sacrario. Le pareti interne dell’ambulacro sono decorate con splendide sculture ad alto rilievo tra le quali spicca l’immagine della dea Durga nell’atto di sconfiggere il demone Bufalo, una tra le più notevoli in assoluto. Edificato alla fine del VII secolo, il tempio ricorda molto, per forma, le sale di culto (Chaityagriha) che erano tipiche dei templi in grotta di stampo buddhista, tradizione religiosa che per lunghi secoli aveva fortemente influenzato la produzione artistica della regione.

Altrettanto interessante dal punto di vista architettonico, per la funzione di “modello embrionale” che svolge nella storia dello sviluppo dello stile Chalukya,  è il cosiddetto Lad Khan Mandir che prende il nome da colui che lo occupò per qualche tempo, probabilmente un pastore o un santo musulmano. A pianta quadrata, il tempio venne edificato alla fine del VII secolo e manca totalmente di quelle forme slanciate che caratterizzeranno in maniera distinta sia i templi del Nord che quelli del Sud. Il tetto risulta infatti piatto, composto da massicci lastroni di pietra che culminano con una piccola cappella dove sono ospitate alcune immagini sacre.

Leggermente spostata rispetto a questi due, situata sul fianco della collina che circonda il sito sacro, si trova la Ravanaphadi Cave, forse il più antico tempio in grotta dei Chalukya. Scavata intorno al 550, la grotta consiste di un portico a due colonne che vede una splendida rappresentazione di Shiva Nataraja ( “il re della danza”) accompagnato dalle Sette Madri (saptamatrika) raffigurate a grandezza naturale.

Ancora più in alto sulla collinetta che sovrasta l’intero sito archeologico di Aihole, vi è poi il Meguti Jain Temple, il più antico tempio strutturale della zona consacrato alla fede jainista. Datato 634 d.c., venne commissionato sotto il regno di Pulakeshin II ma rimase molto probabilmente incompiuto. Raggiungendo la cella posta sul tetto, potrete godere di meravigliose viste panoramiche.

Retro del Tempio di Durga a Aihole

Tempio di Durga a Aihole

Ingresso al Lad Khan Mandir di Aihole

Lad Khan Mandir a Aihole

Ravanaphadi Cave a Aihole

Ravanaphadi Cave a Aihole

Situato anch’esso sulle rive del fiume Malaprabha a pochi chilometri da Aihole, sorge il parco archeologico di Pattadakal, oggi sito Patrimonio Mondiale dell’Unesco e che servì, nei secoli VII e VIII, come luogo di  incoronazione dei re Chalukya. Qui, quattro templi nagara e sei dravida, assegnabili alla fase più matura dell’arte Chalukya, sono custoditi all’interno di un ordinato giardino, la cui quiete potrebbe essere facilmente interrotta dagli schiamazzi delle scolaresche in visita didattica.

Meravigliosi esemplari nei due stili architettonici si trovano costruiti l’uno accanto all’altro, ora ricordandoci la struttura dei templi Pallava di Kanchipuram – da cui molto probabilmente presero ispirazione – ora le slanciate forme del Nord, con alti shikhara (pinnacoli) che sovrastano le celle sacre. E’ il caso rispettivamente del Tempio di Virupaksha e del cosiddetto Galaganatha, entrambi capolavori di grande pregio.

Tempio di Virupaksha a Pattadakal

Tempio di Virupaksha a Pattadakal

Sito archeologico di Pattadakal

Sito archeologico di Pattadakal

Tempio di Galaganatha a Pattadakal

Tempio di Galaganatha a Pattadakal

Giunti quindi finalmente a Badami, antica capitale del regno e oggi cittadina incastonata in un suggestivo paesaggio, tra colline di pietra rossa affacciate sul lago Agastya, ecco apparire di fronte ai nostri occhi alcuni tra i templi rupestri più affascinanti di tutta l’India. Scavate nel fianco della collina chiamata South Fort, le quattro grotte di patrocinio reale, si trovano collocate a diversi livelli, la prima dedicata a Shiva, la seconda e la terza a Vishnu mentre la quarta al culto jainista. Sulle pareti, grandi pannelli a rilievo, riproducono varie forme delle divinità, tutte finemente scolpite ed estremamente elaborate.

Lungo le sponde del lago e sulla collina chiamata North Fort, si trovano altri esempi di templi costruiti in stile dravida, alcuni dei quali colpiscono per le forme particolari, rare nel loro genere. Tra questi il tempio di Mallikarjuna e il Melagitti Shivalaya Mandir, entrambi dedicati a Shiva.

Badami, che si apprezza meglio se vista al tramonto quando la luce del sole accende di rosso le pareti rocciose che la circondano, è uno dei quei tanti luoghi dell’India capace di trasmettere grande spiritualità e immenso fascino, un luogo che trasuda storia di altre epoche. Occhio alle scimmie!

Vista della collina North Fort a Badami

North Fort a Badami

Guardiano della porta a Badami

Guardiano della porta a Badami

Interno della grotta n. 2 a Badami

Vishnu Narasimha

Pannello della grotta n. 2 a Badami

Vishnu nella forma di Vamana

Interno della grotta n.3 a Badami

Vishnu sul serpente Shesa

Interno grotta jaina a Badami

Interno grotta jaina a Badami

Tutti questi luoghi possono essere facilmente raggiunti con i mezzi pubblici tenendo come base Badami oppure, se state pernottando ad Hampi, non sarà difficile organizzare un’escursione in giornata prenotando un taxi in qualsiasi agenzia di viaggi. Un’ottimo ristorante che serve solo piatti tipici dell’India del Sud è il “Geeta Darshini”,  vicino alla stazione dei bus di Badami.

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